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Sri Lanka/Ceylon : Musica e danze dell’Isola Splendente

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SRI LANKA / CEYLONì
MUSICA E DANZE DELL’ISOLA SPLENDENTE

Ceylon, che da qualche decennio ha ripreso il suo antico nome di Sri Lanka ovvero ‘Isola Splendente’, è un'isola tra le tante sperdute nell’Oceano Indiano che riporta alla memoria ‘la via del tè’ con le sue coltivazioni arrampicate lungo i pendii e l’operosità di genti affabili e cordiali che congiungono le mani all’altezza del viso, nel quotidiano saluto rivolto al sole del mattino, con l’augurio di benvenuto indistintamente a tutti gli ospiti e i turisti che vi giungono. È questo un paese che per molti secoli ha visto il fiorire di molte culture legate a diverse confessioni religiose: Induista, Buddista, Cristiana (minoritaria) e Musulmana, in stretto contatto fra loro e tutte vissute nella serenità e nella dolcezza tipica dei popoli orientali, nel rispetto reciproco dei singoli costumi tradizionali.
Il mio ricordo è quello di un’isola felice, di gente cordiale e ospitale, tuttavia quanto sta avvenendo in questi ultimi anni segnati da lotte intestine di tipo tribale che attribuisco a prese di potere religiose e di supremazia economica quasi inspiegabili, mi lascia sgomento. Malgrado ciò, il ricordo del viaggio riaccende in me una sensazione di piacevolezza incantata, di un ‘paradiso’ che la tavolozza della natura incornicia di colori: la foresta e il mare, il fiume e la montagna, gli uccelli e i le varietà di fiori che d’improvviso accendono gli alberi e le siepi ovunque si guardi. Nonché l’andare mesto dei bonzi questuanti avvolti in tuniche arancione, i pescatori di perle e le raccoglitrici di te, i tagliatori di caucciù, i grandi bufali che arano la terra e gli elefanti che trasportano gli enormi tronchi destinati alla lavorazione del legno; i bambini che fanno il bagno nei ristagni d’acqua piovana, le donne in sari multicolori, che poi è il loro abito tradizionale.
Ecco, in questa cornice meravigliosa, lontana dall’esplosione industriale ed edilizia della capitale Colombo, caotica e sovrappopolata, l’isola offre l’opportunità per un felice incontro con la sua gente ricca di spiritualità e ospitale sopra ogni cosa, ciò che rappresenta la grande l’eredità della loro antica cultura, per lo più manifestata nei fasti e negli splendori dispiegati durante le grandi festività religiose, fra le più rappresentative di tutta l’Asia e certamente le più evocate. Soprattutto quella in occasione della ‘Esala Perahera’ che si svolge a Kandy, città custode della cultura singalese, in onore della sacra reliquia ‘del dente di Buddha’, per la quale ogni anno giungono fedeli provenienti da tutto il mondo.
La musica è parte attiva nella vita culturale dell’isola a sostegno delle diverse tradizioni, alle quali pur secondo le diversificazioni delle genti disseminate dalla pianura alla montagna, alle quali tutto il popolo è chiamato a partecipare, come ci ricorda questo canto popolare:
“O Pañcasikha il passo delle vostre corde è in armonia con il tono della tua voce e viceversa, il tono della tua voce non trascende quello dei vostri accordi e viceversa”.
Il brano d’apertura dell’insieme strumentale rituale che ha la funzione di attirare buoni auspici su tutta l’assemblea riunita per l’occasione della festa, è nell’originaria lingua singalese il ‘Magul Bera’, che da inoltre il nome all’insiem e: uno o più strumenti a corde suonati con l’archetto, altri a fiato, a sonagli, e un certo numero di tamburi comunemente percossi con il palmo e con le dita delle mani.
Cosa comunemente passa oggigiorno per musica singalese non è ovviamente la musica originale che si poteva ascoltare fino a qualche decennio fa, fondata sulla musica più antica. Già nel 19° secolo, in un momento di contatto con le culture occidentali, questa era stata contaminata dalla musica indiana del Nord, introdotta per colmare il divario tra i due periodi di distacco dal mondo cosiddetto ‘civilizzato’ in ragione delle lunghe lotte intestine. La musica così introdotta si è dunque mescolata con il jazz occidentale e il rock, ma solo per rendere comprensibile il guazzabuglio che passa per essere musica singalese. L’autenticità della musica singalese per essere notata va riferita al ‘Kavi pal’ e al ‘nelun Kavi’ del contadino tradizionalista non sofisticato. Vi è attualmente uno sforzo da parte degli studiosi in questa materia che potrebbe portare all’evolversi della situazione, cioè il recupero della musica costruita sui resti della musica più antica.
Scandite dal ritmo dei tamburi, le danze singalesi sono strettamente connesse con i rituali religiosi, nelle quali i danzatori eseguono movimenti vigorosi in sequenza di giravolte e capriole nell’aria ed esibirsi nell’imitazione di questo o quell’animale tipici della fauna isolana. Un esempio originale è la ‘danza del pavone’ preso ad emblema del moderno Sri Lanka e animale semi-fantastico della mitologia locale, così detta perché nella fantasia popolare ‘il pavone’ trasporta la divinità Skanda. Un altro esempio è la danza ‘Panthero Natuma’ eseguita al suono del tamburo ‘pantheru’ che si vuole abbia accompagnato i guerrieri Sinhala nella battaglia, incitante e prorompente insieme.
Il massimo del coinvolgimento arriva con la danza detta ‘Raksha’ o ‘del diavolo’, normalmente eseguita per ultima e che crea il momento di maggiore tensione della cerimonia. È questo il momento in cui la simulazione della maschera multicolore ad esso intitolata, fa tremare tutti coloro che vi prendono parte e gli astanti che vi assistono, entrambi esorcizzati dalla possessione. Per l’occasione il danzatore ‘Raksha’ si esibisce in evoluzioni vorticose che talvolta raggiungono il sovrannaturale e che, accompagnate dal ritmo assordante dei tamburi sublimano la sua danza prorompente e violenta.
Le danze femminili sono invece tutt’altra cosa e suggeriscono quanto di più bello si presenta in natura. Ce ne sono di ‘primaverili’ legate alla stagione della fioritura; oppure sacre, esibite durante il rituale nella cerimonia di ‘donazione’ alle divinità, delle spezie e dei profumi durante la processione verso i templi maggiori. Presumibilmente importate dall’India del sud le danze singalesi insieme agli strumenti che le accompagnano fanno la loro apparizione in alcuni bassorilievi presenti nelle vestigia reali disseminate sull’isola, risalenti a prima della presenza cristiana, rintracciabili fra le rovine di Anuradhapura e nei reperti conservati nel locale Museo Archeologico.
I monaci buddisti del passato considerarono queste danze con equanimità e permisero di continuare l'adornamento dei luoghi sacri con sculture e dipinti in cui sono ritratti danzatori e musicisti, incluse danzatrici coi seni nudi. In alcuni esempi furono i monaci stessi artisti o scultori, nonché gli architetti di alcune costruzioni architettoniche come il Ruvanvǟlisǟya e Lõvamǟhǟpǟya. La maggior parte delle antiche rappresentazioni qui esistenti di musica e danza vengono da edifici religiosi. Le sculture e i disegni di musicisti e ballerini provenienti da varie parti del paese danno alcuni indizi preziosi circa la natura e le modalità delle danze, la forma degli strumenti, e di come venivano utilizzati.
In particolare in un bassorilievo trovato ad Embekke rivela l’esistenza sull’isola di un’altra danza ‘dei bastoni’ eseguita con l’utilizzo di corti bastoni di bambù che i danzatori percuotono incrociando i passi, rintracciabile anche in altri paesi dell’estremo Oriente, in Thailandia e Cambogia. I suonatori di tamburo che appaiono nei bassorilievi sono certamente i più frequenti ma non mancano suonatori di liuto, di flauto di legno, finanche di maracas e castagnette talvolta sostituite da piccoli cimbali metallici o da conchiglie; e ancora vi figura la ‘conchiglia marina’ per lo più usata per richiamo; una sorta di ‘tromba’ piccola e corta, il ‘flauto’ con tanto di testa e coda modellato sulla figura del serpente che pure si rifà ad un’altra danza rituale il cui testo recita così:
“Rimani per vedere la leggiadria sua danzare / Le fasi del ballo, i loro lunghi occhi viola / Striati di collirio, e le loro belle orecchie ornate / Con placche lucide d'oro lavorato / Tenute e ritorte con gli odorosi fiori. Le ballerine disposte , le fiamme tremolanti / Che assomigliano a lampade accese, / E che portano sulle loro membra / La lucentezza di ornamenti e gioielli / Dirigi lo sguardo di traverso sulle loro mani / Ora alzate e ora rilasciate / Nella cui cintura si piegano sui fianchi larghi r/ Dove trova riposo e diffusione d’onda il tempo. Nota tutte le bellezze delle ragazze danzanti / Il posarsi dei loro piedi di loto sulla terra / Che ad ogni battuta misurano tintinnante il suono / Col tintinnio costante delle loro cavigliere d'oro, / E l’archi di gemme sparse che circondano i loro fianchi larghi ed equi.”
Ma torniamo per un momento nella città di Kandy che, come ho già detto, è la città custode della cultura tradizionale singalese, ed entriamo nel massimo tempio buddista Delada Maligawa in occasione della festa denominata ‘Esala Perahera’. Si tratta di un grande tempio fatto di legno massiccio che il tempo ha reso più duro della pietra su cui è costruito, con ampie volte interne contenenti più piani aperti e fughe di travi e balaustre robuste, che si tengono insieme ad incastro. Forte è l’aroma di incensi profumati e delle candele di sego che si consumano all’interno, olii e resine pregiate che servono a mantenere il legno affinché non secchi e si spacchi, per cui serve una continua manutenzione cui adempiono i bonzi e gli addetti al tempio.
Di tanto in tanto il suono di un gong o talvolta di una campana a martello da il via ai ‘canti sussurrati’ delle preghiere che la sacralità del luogo accoglie con profonda mestizia. ‘Esala Perahera’ è una ricorrenza annuale buddista che evolutasi col passare del tempo di un sincretismo religioso complesso e imperscrutabile che si ripete per la durata di dieci notti consecutive senza interruzione e che termina col plenilunio d’Esala, cioè d’Agosto. In quell’occasione la sacra reliquia del ‘dente di Buddha’ è portata in processione solenne per le strade di Kandy con grande partecipazione popolare. Quella che ripropongo qui di seguito è la descrizione di una sequenza terminale della più grande festività che si tiene sull’isola in onore del dio indù della guerra Kataragama, alla luce di innumerevoli torce, allorché i ‘frustatori’ a torso nudo annunciano l’inizio della processione con lo schiocco di lunghe strisce di cuoio (appunto le fruste) che percuotono l’aria per scacciare i demoni presenti.
Nel prosieguo, al suono di flauti e tamburi avanzano a piedi i notabili seguiti dai più celebri danzatori di Kandy che si esibiscono in danze rituali. Al loro seguito giungono gli elefanti riccamente ingualdrappati che trasportano sul dorso il loro carico le cariche più alte della città con indosso tuniche completamente bianche. Il momento più emozionante è raggiunto dall’entrata del grande elefante dalle lunghe zanne d’avorio che avanza lentamente su di un bellissimo tappeto bianco che viene svolto poco a poco sotto le sue zampe. Elegantemente ‘addobbato’ e imbiancato di gesso, il grande elefante avanza lento dentro la notte anticipato e seguito da numerosi portatori di torce; ad esso è lasciata l’incombenza di recare sul dorso la cassa dorata contenente la sacra reliquia di Buddha, che ondeggia spostandosi tra i gruppi dei cantori, dei tamburini e dei flautisti che mescolano i loro suoni alle grida e al vociare gaudente degli astanti.
L’odore dell’incenso bruciato è così forte che quasi stordisce mentre s’ode qualche barrito fra i sessanta elefanti che seguono la processione, la maggior parte dei quali portano delle piccole lampadine elettriche attorno alle orecchie e lungo le proboscidi, noché di numerosi sonagli e campane intorno al collo. I lenti movimenti degli elefanti e i costumi dei danzatori ricamati d’oro e di lustrini che brillano alla luce delle torce, creano uno straordinario ‘balletto’ notturno di luci e colori. È questo il momento in cui la musica palpitante di ritmi rende la cornice ancor più suggestiva, pulsante quasi, magica. I suoni particolari degli strumenti artigianali ricavati da legni, scatole metalliche, semi e grani essiccati, dai corni di bufalo e dalla insostituibile chitarra portata sull’isola da colonizzatori, ravvivano costantemente l’atmosfera assecondando l’accompagnamento dei canti tradizionali entrati nella tradizione e secolarizzata all’interno di questa antica cultura.
Diversi riferimenti riportati nel Mahǟvamsa indicano che gran parte delle antiche danze sono di natura mimetica con risvolti di sequenze umoristiche.. Si vuole che gli dèi e i danzatori che accompagnavano il re Pandukǟbhaya fossero solo uomini. Bhatikabhaia (19 b. C. - 9 d.C.) che gli succedette, ordinò diverse danze mimiche in onore della Grande Thǘpa. Più tardi Mahǟdǟthika Mahǟnǟga (a.C. 9 -21) commissionò un certo numero di danze mimiche per completare il lavoro di Ambatthala Thǘpa e Mihintale a conferma di quanto si è detto. Da un fregio a Yapahuva si denota la rappresentazione di una divertente scenetta danzata dove il ballerino ha una mano sulla testa e l'altra sul gluteo. La particolarità di queste danze è data da un unico movimento di 'oscillazione’ da e verso la gamba destra piegata al ginocchio.
Il danzatore può qui aver accresciuto la natura ridicola della sua danza con il dondolio della testa, ma si vuole che in passato a questi danzatori particolarmente bravi così come gli strumentisti particolarmente dotati, fosse proibito lasciare l’isola affinché non si perdesse memoria della tradizione classica di queste culture. La letteratura dal canto suo fa riferimento alla musica vocale introdotta in tempi pre-cristiani, e spesso nelle canzoni si fa ricorso all'idioma nativo. Anche i versi del ‘Tunsarana’ di data recente sono cantate nella lingua dell’abitante del villaggio, che si rifà ad una melodia originaria. Questa musica cosiddetta appunto di ‘villaggio’ rappresenta il sopravvivere miracoloso di una cultura più antica che ha conservato, nonostante l'abbandono, la sua originalità e che potrebbe diventare la vera musica originale del paese.
Tuttavia non quella che avrebbe potuto essere se, a suo tempo, la musica antica fosse stata sostenuta e incoraggiata, cioè favorita dallo studio e insegnata nelle scuole. Oggi nell’epoca dei grandi mezzi di comunicazione e il logorio dei media che vanno sconvolgendo le zone più remote del paese, anche quel poco che restava dell’antica musica singalese sembra essere condannata a scomparire. Ciò nonostante e malgrado tutto quanto avviene di scontri etnici in questa parte del continente indiano, quel che rimane è ancora il fascino dell’oriente a venirci incontro con la sua naturale bellezza di benvenuto e la straordinaria ospitalità delle sue genti. In questi termini dunque, le danze, così come gli strumenti originali e la musica dei canti-poemi tramandati nella forma orale, continuano a rapire l’orecchio dell’ascoltatore.
In Sri Lanka Amaradeva è quasi un sinonimo di ‘musica’, tradotta nel suo ‘squisito’ senso migliore. La vita musicale dello Sri Lanka è dominata da questo geniale esecutore che rappresenta una confluenza dinamica del meglio della musica Orientale. Ma Amaraeva non è soltanto un musicista professionale ma, piuttosto, un genio che esulta nello sforzo creativo senza fine, per cui è essenziale re-inventare e raffinare la sua espressione musicale. Strumentalmente parlando cresce accanto al suo violino-giocattolo sul quale biascicò le prime note musicali quando era ancora nell’infanzia, al quale dedicò e si dedicò tale ardore che la musica gli è entrata nelle vene. Successivamente, suo padre fabbricò un violino appositamente per lui ed egli si nutrì di quel suono fino a fare di sé un tale incipiente talento che lo portò in età più matura al Bathkanda Institute of Music in India: un centro di pellegrinaggio fervente per aspiranti musicisti.
Per Amaredeva la musica è una lingua universale che non conosce barriere di sorta, nazionali o linguistiche. La ‘musica’, egli dice, unisce le persone e la ‘grande musica’ unisce le persone con grandezza. Nel suo record speciale che rappresenta il meglio delle liriche che lo compongono, si scontrano le vecchie e più giovani generazioni di musicisti dello Sri Lanka. Amaradeva prova sontuosamente che una traduzione raffinata di lirica in stile classico possa vincere anche per acclamazione popolare.
Come abbiamo pututo constatare nulla o quasi sembra cambiare sotto il cielo luminoso e leggendario che continua a meravigliarci con il suo esistere a contatto di una natura lussureggiante. Così come la natura è il tema di ogni composizione che, con grande semplicità continua a parlarci con la lingua semplice dei colori, del ‘cobalto’ e lo ‘smeraldo’ del mare, dei ‘verdi’ misteri della foresta, dell’ ‘opale’ scorrere dei fiumi, del sereno ‘cristallino’ defluire della vita dei pescatori e delle raccoglitrici ‘ambrato’ del tè; così come dell’amore contemplativo che si riflette nelle piccole gioie del quotidiano, che speriamo non vada definitivamente perduto. Numerose sono le ‘ninne-nanne’ tipiche che si cantano ovunque al calare del sole con le mani giunte come in preghiera, affinché il giorno risorga l’indomani, alba dopo alba, a inondare di luce questa che significativamente è conosciuta come l’ ‘Isola Splendente’.
I suoni e le danze, gli strumenti e i canti sopracitati sono in parte raccolti nei seguenti Lp cui hanno preso parte i migliori strumentisti classici:
W. D. Amaradeva, Wimala Amaradeva, Premasiri Khemadasa, Sarath Dasanayake, Somadasa Elvitigala, Sanath Nandasiri, Nanda Malini Gokula, Neela Wickramasinghe e altri.
Inoltre a registrazioni sul campo di Noel Bryan Ranasinghe e da Gerard Krémer.
“Songs & Rhythms of Sri Lanka” – Wickremesooriya & Co – Colombo Sooriya LP2
“Amaradeva Sri Lanka’s maestro of classics” - Tharanga Recording Studio Colombo, A0015

“Ceylon” – Noel Noel Bryan Ranasinghe – Arion FARN 1085 – Collana Universo del Folklore

“Musica sacra di Ceylon” – reg. dal vivo di G. Krémer – Arion FARN 1098
Collana Universo del Folklore



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